VINO CRUDO Associazione Culturale

VINO CRUDO  è un’associazione culturale no-profit,  nata a Modena da giovani appassionati del vino per appassionati del vino, con lo scopo di conoscere e far conoscere  produttori che rispecchiano una filosofia non industriale e condividono valori come il rispetto della terra, il mantenimento della biodiversità , pratiche in cantina non invasive  e assenza di artefatti sul prodotto finale fatto innanzitutto in vigna.

VINO CRUDO: sovversivo, molto soul e molto rock.

Via Castelmaraldo 39
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Franciacorta: che l’acidità sia con te

Il recupero di un vitigno autoctono somiglia a una scoperta archeologica dopo tanto scavare,
ad un vecchio ricurvo a coccolare la sua vigna anche se ormai non conviene più.

Espressione enoica magari non superba …ma certamente fiera.
Caparbietà che si radica nella resilienza della Vite.
Biodiversità e sublimazione di un territorio.

Un autoctono per territorializzare un impero enologico e raddrizzarne le sorti:
 un vitigno riscoperto per riannodare i tralci di una “viticultura di territorio” al suo vino.

 

FRANCIACORTA: UN VINO, UN TERRITORIO.

La regione del Franciacorta, da disciplinare.

Il territorio. Qualcuno parlerebbe di una regione mesoclimatica insubrica con tratti mediterranei, anfiteatro morenico da glaciazione.

Noi parliamo delle colline bresciane, abbracciate a sud dalla pianura, con le sue brezze e inversioni termiche, mitigate a nord dal Lago d’Iseo che pur garantisce una vivace escursione termica. Un suolo di origine glaciale, geologicamente variegato, disseminato di sabbie e ciottoli, povero di argilla ma ricchissimo in minerali aggiunti, asciugato dai venti della Valcamonica.

E’ proprio qui che, già dal Medioevo, affonda le proprie radici il nome “Franciacorta”, in queste terre francae curtes (esentate da tasse), affidate a piccole comunità benedettine perché fossero bonificate e coltivate. Una regione che già nel ‘500 produceva vini “mordaci”, cioè briosi e spumeggianti, anticipando di un secolo le regole fissate dall’abate Dom Perignon, come riporta Conforti, nel suo ‘Libellus de vino mordaci’.

 

Il vino. Viene istituita nel 1967 la DOC Franciacorta, una delle prime in Italia a prevedere la tipologia Spumante. La svolta giunge però nel 1995: primo metodo classico ad ottenere la DOCG in Italia, viene abolito in etichetta ogni riferimento al metodo di produzione e respinta l’espressione “vino spumante”, andando così a indicarlo senza ulteriori termini qualificati. In tutta Europa, solo 10 denominazioni godono di tale privilegio; di queste, solo tre evolvono con rifermentazione in bottiglia e sboccatura: sul podio, con Cava e Champagne.

“Franciacorta”, dunque, a definire una regione, un metodo di produzione e un vino!

 

FRANCIACORTA: UN PARADIGMA.
Da disciplinare, il Franciacorta prevede elaborazione esclusivamente tramite Metodo Classico, con obbligo di indicazione in etichetta dell’anno di sboccatura. Vengono ammesse le versioni “Franciacorta”, “Franciacorta” Rosé e “Franciacorta” Satén e caratterizzazioni Riserva e Millesimato. Peculiare è la tipologia Satén: esclusivamente Brut (tenore zuccherino tra 6 e 12 g/l), deve presentare una sovrappressione inferiore a 5 bar (rispetto al range 5-6,5 delle altre tipologie) per una percezione di beva ammorbidita e setosa.

Raccolta manuale, pressatura soffice a grappolo intero, rifermentazione naturale in bottiglia e successivo lento affinamento sui lieviti, non inferiore ai 18 mesi, almeno 24 per Rosé e Satén, 30 per i Millesimati e ben 60 mesi per le Riserve. Sboccatura.
Almeno l’85% di vino d’annata per Millesimati e Riserve.

Tradizionalmente, le bolle franciacortine sono espressione della vinificazione di uve Chardonnay e Pinot nero, con integrazione di Pinot bianco, fino ad un massimo del 50%. Per il Franciacorta Rosé, il Pinot Nero deve corrispondere almeno al 35%; il Satén è invece disciplinato come Blanc de Blancs.

Chardonnay, bacca bianca di freschezza e finezza. Pinot nero, bacca rossa di corpo e complessità. Pinot bianco, bacca bianca di eleganza e cremosità.

Grappoli di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot bianco, con loro diffusione in Italia: la Franciacorta, oggi, è vitata per l’80% a Chardonnay, 15% a Pinot nero e  5% a Pinot bianco.

Con la (sesta) modifica al disciplinare di produzione, nel 2017, rispetto alla base ampelografica dei tre internazionali, si è giunti però all’inserimento di un nuovo vitigno, in misura massima del 10%, per tutte le tipologie tranne il Satén. Perché?

 

FRANCIACORTA: UNO SPIRAGLIO.

Il Consorzio di Tutela Franciacorta, pur custodendo gelosamente l’eccellenza della sua “F merlata”, si è reso conto che il clima è cambiato e molto di ciò che era rischia di perdersi: negli ultimi 30 anni si è assistito a un evidente aumento delle temperature, con una maggiore disponibilità radiativa a scapito di quella idrica. La Vite, selva selvaggia, aspra e forte, ha così reagito con l’anticipo del ciclo vegetativo ovvero arrivando a maturazione con caratteristiche fenologiche inedite.: uve sempre più assolate, precoci, zuccherine.

Continuando a rincorrere i cambiamenti climatici con vendemmie anticipate, si avvertiva il rischio di pregiudicare l’equilibrio complessivo del Franciacorta, dovendo mediare tra una sufficiente acidità e la piena espressione del vigneto.

L’acidità è infatti elemento fondamentale per conferire freschezza e assicurare longevità alle basi spumante.

Il Consorzio ha così attivato, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, a partire dal 2009, vari progetti di ricerca volti a preservare la qualità dei propri spumanti, focalizzandosi sullo studio dei vitigni autoctoni come contributo di acidità, in vigna e in cantina. Puntando l’attenzione su varietà storiche, poi, si sarebbe potuto territorializzare il Franciacorta ovvero affiancare alla “viticoltura di vitigno”, con protagoniste le varietà internazionali, una “viticoltura di territorio”, con il patrimonio di identità e diversificazione dato dagli autoctoni.

Un progetto, dunque, che ricama di romanticismo il pragmatismo bresciano, per rafforzare il legame tra vino e territorio!

Alcune importanti cantine della zona hanno da subito aderito alla sperimentazione: per prime, Castello Bonomi, Berlucchi, Ferghettina, Ronco Calino e Barone Pizzini hanno messo a disposizione loro parcelle, ex novo e in parte mediante sovrainnesto, per prove in campo e microvinificazioni. Da queste, particolarmente promettente è risultata la spumantizzazione di un vecchio vitigno a bacca bianca originario della provincia di Brescia, ormai dimenticato, ma elogiato già nel ‘500 dall’agronomo Agostino Gallo: l’Erbamat.

Proprio l’Erbamat è stato inserito, nel 2017, nella base ampelografica da Disciplinare Franciacorta DOCG.

 

ERBAMAT: UN DIMENTICATO.

L’Erbamat, ovvero “erba matta” per il colore verde intenso dei suoi acini anche a maturazione piena, è un vitigno difficile.

Un grappolo di Erbamat e la sua territorialità.

Grappolo compatto e buccia fine, sensibilità al marciume acido o Botritis ma pure alle bruciature. Grande produttività (potenzialmente fino a 200 qli/ha) che, tradizionalmente, costringeva a drastiche potature. Esuberante natura, che per alcuni stringe l’occhio al Timorasso e i Riesling tedeschi, che si esprime però su terreni ben soleggiati, poveri e sciolti.
Chiaro dunque il motivo del suo abbandono.

Evidente è però subito emerso il suo potenziale in relazione ai cambiamenti climatici: un ciclo vegetativo medio-lungo che culmina in uno spiccato tenore acidico, un profilo aromatico sostanzialmente neutro e un’esigua carica polifenolica.

L’Erbamat giunge a maturazione da metà settembre a ottobre, dunque un mese dopo Chardonnay e Pinot Nero, con una evoluzione lentissima: fino alla fioritura, il ciclo va sostanzialmente di pari passo con lo Chardonnay, poi, si assiste ad un rallentamento, evidentissimo dopo l’invaiatura. L’accumulo di zucchero e la degradazione acidica hanno variazioni settimanali limitate (circa mezzo Babo alla settimana per gli zuccheri) e, anche a maturazione completa (fisiologica e fenolica), si riscontra una limitata capacità di accumulo zuccherino.

E’ però il suo corredo acidico a stimolare i franciacortini: spiccato ne risulta, infatti, il tenore in acido malico, componente particolarmente minata dalle variazioni climatiche nei vini base della regione ma cruciale nel garantire freschezza prolungata, dunque longevità, ai vini del territorio. Acidità elevata e bassi livelli di ph.

Inoltre, l’affinamento dei vini base è sostenuto dal vitigno senza che il profilo enologico venga distorto grazie ad un contributo aromatico discreto, non stravolgente …perciò potenzialmente scalabile.

 

ERBAMAT: UN ALLEATO.

Dal 2015, nasce così il ‘Progetto Erbamat’: prove agronomiche, rilievi fenologici e sanitari, mappatura pedoclimatica della regione ed esperienze di vinificazione condotti per definire le migliori prassi di coltivazione, redigere una carta vocazionale del vitigno e riscoprirlo in cantina.

Dalle prove di potatura e tecnica agronomica per ridurne la suscettibilità a marciumi e controllarne la vigoria varietale, è emersa, ad esempio, la forma d’allevamento a Guyot regolato a 8 gemme come miglior compromesso tra fertilità e gestione in vigneto, specialmente se abbinata a sfogliature intense alla fioritura e, poi, localizzate lungo la fascia dei grappoli.
Correlando la risposta vegetativa a pendenze, umidità ed esposizioni si sono invece individuati i siti più idonei ad accoglierlo; parallelamente, si sono impostate vinificazioni campione per saggiarne il profilo enologico, in taglio …e in purezza.

 

Prove pionieristiche che stanno già tracciando una possibile strada: pur mantenendone facoltativo l’inserimento perché possa essere recepito gradualmente, si stanno delineando i migliori criteri di coltivazione e spumantizzazione come strumento e incentivo ai produttori locali per reimpiantarlo.

 

ERBAMAT: UNA SCOMMESSA.

Il ‘progetto Erbamat’, nato con l’obiettivo di mantenere le caratteristiche del Franciacorta, recependo però freschezza e delicate sfumature sensoriali, in pochi anni, ha dato risultati quasi inaspettati: a braccetto con la struttura del Pinot nero e l’eleganza dello Chardonnay, già in percentuali del 15-30%, l’Erbamat conferisce un carattere olfattivo, si meno intenso, ma più fresco e agrumato, che si mantiene anche dopo svariati mesi dalla presa di spuma. Dunque, sebbene questo vitigno sia oggi presente solo in pochi filari, come memoria storica e rarità, molti hanno letto il limite disciplinare posto al 10% come il primo passo di un cammino di ascesa, immaginando addirittura una tipologia inedita che preveda fino a un 40% di questo uvaggio!

Credendo fortemente in questa svolta, Barone Pizzini, la prima cantina della Franciacorta ad essersi convertita al biologico, nel 2008, ha impiantato circa un ettaro di vigneto, vinificandone le uve per la prima volta nel 2012. Volontà era già quella di superare il limite consentito dal disciplinare del Franciacorta e realizzare un vino nuovo, fuori dalla denominazione, che potesse mettere in evidenza anche le caratteristiche organolettiche proprie dell’Erbamat. Ecco dunque “Tesi Uno”, un VSQ Metodo Classico prodotto con il 60% di Erbamat, il 20% di Pinot nero e di Chardonnay. Una produzione limitatissima. Sessanta mesi sui lieviti. Una scommessa su “un’uva che non matura mai”. Un unicum teso, diritto ma decisamente fine, fresco e agrumato.

Castello Bonomi, invece, col suo progetto “Mordace”, si è spinto ad indagare le espressioni dell’Erbamat e la loro evoluzione, proiettate nella straordinarietà del suo terroir: l‘azienda, oltre al parco e castello, vanta infatti 24 ettari di vigneti a “colluvi gradonati”, eccezionali per origine geologica e microclima. Un terreno sorto col sollevamento tettonico di un “conglomerato calcareo”, dunque non morenico. Calcare per un metodo classico, con esposizione ottimale del vigneto. Un ambiente pedoclimatico più caldo e asciutto perché protetto dal Monte Orfano …tanto da vedervi crescere i capperi.

Quello che si è arrivati qui a produrre è un vero identikit del vitigno: Erbamat 2011 in purezza, un’esperienza per cogliere l’anima di questo vitigno, così da ritrovarla puntualmente anche in blend.

D’altra parte, l’azienda dispone di una verticale di annate, con uvaggio in percentuale diversa: la sua “Cuvèe 1564”, prodotta dal 2011 al 2014, nasce con un 32% per poi evolvere al 38% di Erbamat. Pinot nero e Chardonnay in egual misura: ovviamente non una DOCG ma VSQ, non dosato (2 g/l di zucchero circa), intreccio di acidità, complessità e finezza. Un esercizio sensoriale e induttivo.

 

Così, questi entusiasti sono divenuti ispirazione per perpetrare lo status “Franciacorta”: il Consorzio per la Tutela del Franciacorta , infatti, proprio alla luce di queste elaborazioni, è giunto a registrare ufficialmente il Franciacorta “Mordace”, spumante con Erbamat, utilizzabile, in futuro, in etichetta alla stregua della caratterizzazione Satèn o Rosé, così denominato come tributo al vitigno e alla sua storia.

In una Franciacorta conquistata dagli alloctoni internazionali, prima per resistere alla Fillossera di fine ’800, poi per consacrare le bollicine di un redditizio impero enoico, questa introduzione è quasi un risarcimento alla vera identità del territorio!